Uno dei punti che sarebbe utile disciplinare con un patto scritto, nel lavoro agile, è il diritto alla disconnessione del lavoratore: cioè i tempi nei quali può restare “scollegato” dagli strumenti tecnologici che utilizza per la sua prestazione lavorativa. È un principio valido sia nel caso di una prosecuzione dello stato di emergenza – con il ricorso alle modalità attuali semplificate dello smart working – sia nel caso di una nuova regolamentazione della materia. Un intervento legislativo che demandi alla contrattazione collettiva la disciplina dello smart working potrebbe non essere idoneo a determinare un passaggio immediato a una diversa regolamentazione della fase 2. In assenza del patto scritto, che deve contenere, tra l’altro, le modalità atte a garantire il diritto di disconnessione del lavoratore e i tempi di riposo, la disconnessione non ha un regolamento proprio. Si è prospettata la configurazione di un diritto e dovere del lavoratore alla disconnessione, di un diritto cioè indisponibile, perché solo attraverso la disconnessione da remoto si garantisce l’effettività del riposo e dunque la tutela dell’integrità psicofisica del lavoratore stesso.
L’esigenza di tutelare la salute del lavoratore si presta a orientare i datori di lavoro anche sul tema della disconnessione quotidiana, sopperendo alle carenze di effettività della normativa generale sul lavoro agile. Sul sito dell’Inail è disponibile una informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile, in base all’articolo 22, comma 1, L. 81/2017. Il documento Inail mette il lavoratore a conoscenza dei rischi geneali e specifici correlati all’esecuzione della prestazione in smart working. Si articola in diversi punti: dagli obblighi dei lavoratori ai comportamenti di prevenzione generale richiesti allo smart worker, dalle indicazioni relative allo svolgimento di attività lavorativa in ambienti outdoor all’uso sicuro di attrezzature e dispositivi di lavoro. Il punto nodale delle questioni interpretative su questo sistema normativo-amministrativo è la valenza assorbente della comunicazione, sino a esimere il datore di lavoro dal redigere un Documento di valutazione dei rischi (Dvr) – anche in forma di integrazione di quello generale) – che analizzi anche i rischi inerenti all’attività prestata dai lavoratori agili.
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